Evangelizzare con la pietà popolare
È stato un interessante dibattito quello svoltosi per i due incontri organizzati dalla Diocesi sul tema “Evangelizziamo con la pietà popolare. Le testimonianze di fede e di carità nelle Confratetnite” (27-28 novembre, Auditorium Salvucci). Il primo incontro si è concluso con l’intervento del priore della Confraternita di Sant’Antonio di Molfetta, Sergio Pignatelli, che è di seguito riportato.
«Dare un pane a un povero oggi sembra carità superata, visto che l’opinione mediatica diffusa è che la solidarietà è insegnare a pescare, piuttosto che donare al povero un pesce. La “Cassa Pane di Sant’Antonio”, il ramo della confraternita di Sant’Antonio di Molfetta che si occupa delle opere caritative, pur studiando questa evoluzione della solidarietà, non ha dimenticato che esistono situazioni di bisogno di difficile soluzione, per cui anche un tozzo di pane dato al momento giusto e nel modo giusto è un gesto “giusto”.
Il “Pane dei Poveri” si rifà a un episodio riportato dalla Rigaldina, la più antica agiografia di Sant'Antonio. Una madre padovana, che vive nei pressi della basilica in costruzione, ha lasciato Tommasino, il figlio di 20 mesi, solo in cucina. Il bambino, giocando, finisce a testa in giù in un mastello d'acqua. La madre lo ritrova senza vita. Urla disperata, ma poi non si arrende e invoca il Santo facendo un voto: se otterrà la grazia, donerà per i poveri tanto pane quanto è il peso del bambino. Viene esaudita e da allora nasce una tradizione chiamata «pondus pueri» (il peso del bambino): i genitori promettono al Santo tanto pane quanto il peso dei figli, in cambio della sua protezione.
Al di là del momento in cui è stata istituzionalizzata questa cassa, all’interno del sodalizio antoniano molfettese, essa ha una tradizione centenaria. Anzi, gli stessi principi fondatori della confraternita si basano sulla carità: “Il potente vincolo della cristiana Carità fu quello che attirò i devoti e li strappò alle loro oneste incombenze e profittevoli occupazioni e li sollecitò all’esercizio delle opere più sante e profittevoli” (La Storica Sinopsi della confraternita di Sant’Antonio). Con il tempo il pane è diventato il simbolo di una serie di altri interventi. Oggi, infatti, attraverso quest’opera, la Confraternita tiene vivi molteplici progetti: aiuto degli indigenti cittadini (quaranta giorni fa sono stati distribuiti 50 pacchi alimentari prevalentemente alle famiglie bisognose del centro storico), sostegno alle popolazioni terremotate, alle popolazioni terzomondiali, supporto alle associazioni di volontariato (di recente sono stati cofinanziati con la confraternita antoniana di Zagarolo, gemellata con quella molfettese, due progetti delle associazioni locali della CRI e dell’Unitalsi), collaborazione con la Caritas parrocchiale, adozioni a distanza e tanto altro. In questo modo il «pane dei poveri» si spoglia del carattere simbolico e devozionale che il tempo gli ha cucito addosso e diventa pane reale, capace di alleviare le sofferenze e rinsaldare la speranza.
Le confraternite, a mio avviso, oggi hanno due scelte: essere associazioni mummificate in organismi di semplice parata o recuperare vigoria grazie alla loro trasversalità nella vita civile. È chiaro che le confraternite che sopravvivono senza rinnovare questa antica esperienza hanno fatto il loro tempo e sono prossime al declino. Tuttavia, anche con queste premesse, pure la più disastrata ma autentica confraternita esistente nel mondo cattolico sa di non essere stata fondata per condecorare processioni. Solo così le nostre confraternite, nell’immaginario collettivo, potranno sganciarsi dall’idea di essere dei gruppi folkloristici da processione, tanto più riuscita quanto maggiore è il numero dei partecipanti.
E non basta porgere con la mano, San’Antonio ci insegna che “bisogna unirvi anche l’affetto del cuore: non c’è vera carità se provvedendo al corpo dei nostri fratelli non provvediamo anche alla loro anima o se provvedendo all’anima non provvediamo anche al corpo. Chi soffre ha bisogno di essere consolato”.
È in questo senso che dobbiamo trovare la forza: nella possibilità di portare i nostri protettori (nel nostro caso Sant’Antonio) agli uomini prima che portare le loro icone per le strade».